Luciana lavora al reparto confezionamento da diversi anni. Durante il turno del mattino ha dimenticato di aggiornare il registro digitale dei controlli qualità dopo aver verificato una partita di prodotto. L’errore viene segnalato poche ore dopo dal responsabile di linea, che reagisce di impulso.

Davanti a tutti, con tono brusco, esclama:
Luciana, ma sei sempre la stessa! Possibile che non riesci mai a fare le cose come si deve? È la terza volta che capita, così non andiamo da nessuna parte. Se non sei capace di usare il sistema, forse è meglio che lasci perdere e lo faccia qualcun altro!”

Luciana, colta di sorpresa, abbassa lo sguardo, arrossisce e smette di rispondere. Non si giustifica, ma dentro accumula frustrazione.

Quante possono essere le ragioni di quell’imprecisione? era veramente “la terza volta”in poco tempo che capitava? E se l’errore fosse stato favorito anche dalla pressione dei tempi? O dall’interfaccia poco intuitiva del software?
Il resto del team osserva in silenzio. Alcuni provano imbarazzo, altri tirano un sospiro di sollievo perché, ‘stavolta non toccava a loro’.

Siamo in un ufficio amministrativo. Tommaso è un giovane impiegato che sta lavorando su un report mensile. La sua responsabile entra nel suo ufficio mentre ci sono anche altri colleghi presenti.

Con tono irritato esclama:
Tommaso, ma è mai possibile che il report di ieri fosse pieno di errori? Sei stato superficiale, e adesso tocca a me giustificare con la direzione. Non posso ogni volta stare a correggere il tuo lavoro. Devi imparare a fare attenzione, altrimenti questo ruolo non fa per te.”

Tommaso rimane spiazzato. In realtà il documento incriminato è il risultato di un lavoro di più persone, con dati provenienti da vari reparti e con procedure di verifica non chiare. Lui ha inserito i numeri ricevuti, senza avere autonomia per controllarli a fondo. Non prova neanche a giustificarsi: si sente umiliato davanti agli altri, non ascoltato e percepisce l’accusa come ingiusta.

Il risultato:

  • Tommaso perde fiducia nella responsabile.
  • I colleghi pensano: “meglio non farsi notare”.
  • L’errore sistemico non viene affrontato in modo proattivo → si ripresenterà 99/100.

Cosa c’è alla base di questi due esempi? Una frase detta con un tono A o B e la giornata lavorativa prende una direzione proattiva o controproducente. Come dovevano essere gestiti dai responsabili i casi di Luciana e Tommaso? Lo vediamo alla fine di questo articolo.

Gli ambienti aziendali di oggi sono ecosistemi ad alta densità relazionale. Ritmi serrati, obiettivi ambiziosi, urgenze che bussano senza preavviso, riunioni che si sovrappongono, messaggi che rimbalzano su chat e inbox. In questo rumore di fondo, il modo in cui un responsabile, un manager o un imprenditore comunica un’azione correttiva segna la linea di confine tra un’organizzazione che si compatta e progredisce e una che si disperde, perde energia, accumula attriti. Non basta “dire cosa non va”: serve un metodo che renda chiaro il punto, rispetti la persona, indirizzi l’azione. Soprattutto, serve una sensibilità capace di leggere contesto, linguaggi e tempi, tradotto=serve competenza comunicativa.

Comunicare un’azione correttiva significa rendere esplicita una deviazione rispetto a standard, procedure, aspettative di ruolo o obiettivi strategici; significa farlo in modo che la persona o il team comprendano, accettino e agiscano il cambiamento richiesto. È un atto di leadership, non un esercizio di autorità: il suo valore si misura nella qualità del futuro che produce, non nel sollievo momentaneo di “averlo detto”.

 

Questo articolo è una guida operativa, pensata per chi deve correggere la rotta senza perdere il team: leader di reparto in produzione, manager negli uffici, direttori e direttrici, datori e datrici di lavoro. 

Perché la comunicazione correttiva è una leva strategica

Un errore non esplicitato è un errore che si ripete; un’azione correttiva comunicata male è un errore che si moltiplica. La conversazione correttiva fatta bene è la cerniera che tiene insieme standard, fiducia e performance. Il punto non è “dire a qualcuno che ha sbagliato”: è progettare una conversazione che rimetta al centro lo standard atteso, disinneschi la difesa, renda praticabile un nuovo comportamento.

Le ricerche di Zenger & Folkman, pubblicate su Harvard Business Review, mostrano un dato controintuitivo: molte persone desiderano ricevere correzioni chiare, specifiche e rispettose; chiedono 'indicazioni su come migliorare' almeno quanto apprezzano lodi generiche. Quando la critica è fatta bene, il destinatario la interpreta come un investimento della leadership sulla sua crescita. Non è la 'negatività' a fare la differenza, ma la qualità del messaggio e la fiducia nella relazione.

Sul versante dell’impatto organizzativo, la letteratura sul coinvolgimento conferma che il ritmo delle conversazioni è determinante: dove i manager offrono feedback regolare e riconoscimento autentico, l’engagement cresce sensibilmente; ad esempio, tra chi riceve feedback e riconoscimento almeno settimanali la quota di coinvolti è nettamente più alta di chi riceve solo feedback formali o sporadici. (Gallup.com)

Infine, c’è un tema di rischio: nelle organizzazioni dove la correzione non circola, prevalgono prudenza, silenzi e “teatrini” comunicativi. Le idee si impoveriscono, i problemi viaggiano sottotraccia, l’inerzia costa più degli errori. Un sistema di conversazioni correttive tempestive e ben fatte abbatte la frizione interna, riduce tempi di decisione e previene costi di qualità.

La psicologia della correzione: perché fa male e come farla funzionare

Ricevere una correzione tocca corde profonde come identità, autostima, reputazione. Non stupisce che, quando sentiamo “dobbiamo parlarne”, il corpo si prepari alla difesa. La neuroscienza ha mostrato che esclusione e critica sociale attivano circuiti cerebrali che si sovrappongono a quelli del dolore fisico: non è una metafora, è fisiologia. Capire questo non significa evitare la correzione, ma progettarla per ridurre la minaccia e aumentare l’apprendimento. (sanlab.psych.ucla.edu)

Qui entra in gioco la mindset di crescita (growth mindset): se l’errore è trattato come informazione per migliorare e non come stigma identitario, le persone sviluppano resilienza, curiosità, disponibilità a sperimentare. È la differenza tra “sei inaffidabile” e “nelle ultime due consegne hai sforato: cosa serve per rientrare nello standard?”. La prima etichetta chiude, la seconda apre. Lavorare sul mindset non è moda: è una pratica che modula il modo in cui ascoltiamo la correzione e come la trasformiamo in azione. ADR Vantage, Inc.

Il terzo pilastro è la sicurezza psicologica: un clima in cui è lecito fare domande, segnalare rischi, proporre alternative senza temere umiliazioni. Harvard Business Review ne offre una definizione operativa: “sentirsi sicuri di parlare” non è permissivismo, ma disciplina della conversazione. Nei team ad alta sicurezza psicologica, le persone portano la realtà nella stanza; nei team a bassa sicurezza, la realtà resta nei corridoi. E nelle conversazioni correttive, la differenza è dirompente: senza sicurezza, il cervello ascolta per difendersi; con sicurezza, ascolta per capire.

Infine, attenzione ai bias: il bias di conferma ci fa vedere solo ciò che valida la nostra ipotesi; la fallacia dell’attribuzione ci spinge a spiegare l’errore altrui con “com’è la persona” invece che con “com’è il contesto”; il recency bias ingigantisce l’ultimo episodio. L’antidoto sta nello scomporre la correzione in elementi osservabili (fatti), collegare gli impatti (conseguenze) e co-progettare la soluzione (azioni future).

 

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Contesti diversi, registri diversi

 

Una correzione efficace è sempre contestuale. Le stesse parole, pronunciate in luoghi diversi, producono esiti opposti. Qui esploriamo tre scenari emblematici: produzione, uffici operativi e direzione.

Produzione: chiarezza, sicurezza, ritmo

In produzione il tempo è un bene prezioso, il rumore è alto, i vincoli di sicurezza sono non negoziabili. Qui la parola deve essere chiara, concreta, immediata. L’azione correttiva è un micro-brief: si nomina la situazione (“riavvio della pressa alle 14:10”), si descrive il comportamento (“salto del check blocco sicurezza”), si esplicita l’impatto (“aumento del rischio di fermo e infortunio”), si indica il prossimo passo (“rifacciamo il giro completo dei collaudi prima di ogni riavvio; alle 16 verifichiamo insieme checklist e promemoria”). La conversazione è asciutta, senza colpevolizzazioni, ancorata a procedure e standard. Questa linearità, oltre a ridurre errori e tempi, costruisce cultura: si interiorizza che prima la sicurezza, poi la produzione, sempre. (Nel contesto italiano, normative e prassi di prevenzione sottolineano l’importanza della comunicazione e del coinvolgimento reale dei lavoratori: non solo regole scritte, ma processi che si capiscono e si praticano.) inailcomunica.itPuntoSicuro

Uffici operativi: qualità informativa, relazioni e canali

Negli uffici, la correzione vive di dinamiche relazionali più sottili: presentazioni, report, riunioni ibride, chat. Qui le parole viaggiano e restano. Un inciso fuori posto può trasformarsi in narrazione identitaria. Per questo la conversazione correttiva richiede preparazione (fatti, esempi, documenti), intenzionalità (che cosa voglio ottenere) e cura del canale (sincrono vs asincrono). Le regole sono poche ma decisive: una correzione importante non si fa via mail, salvo lasciare tracce di sintesi dopo l’incontro; si chiede un confronto breve, si espone il punto con metodo, si co-definiscono due azioni concrete e una data di verifica. Nei flussi d’ufficio, spesso la correzione implica ridisegnare il processo (chi valida cosa, con quale frequenza, su quale documento condiviso); in questi casi, la correzione non è tanto verso la persona, ma verso il sistema.

Direzione: linguaggio della strategia, coerenza di brand

Nelle “stanze dei bottoni”, la correzione parla la lingua della strategia. Qui si allineano scelte di posizionamento, politiche di prezzo, priorità d’investimento, metriche di controllo. L’azione correttiva non è solo “fai diversamente questo compito”, ma “ritorniamo alla rotta”. Il leader spiega perché una deviazione è rischiosa, quale principio mina (ad esempio, la coerenza del brand), come la misureremo (indicatori, finestre temporali). Il tono è esigente e generativo: pretende coerenza, ma offre cornici e risorse. Quando la correzione discende da scelte coerenti e visibili – e non da umori o simpatie – la fiducia sale.

SITUAZIONI COMUNICATIVE MALGESTITE VS SITUAZIONI COMUNICATIVE BEN GESTITE: I casi di Luciana e Marco 

LUCIANA

Perché quella di Luciana è una comunicazione correttiva malgestita?

  • In pubblico: la correzione è stata fatta davanti al team, generando umiliazione e perdita di fiducia.
  • Attacco personale: invece di correggere un comportamento (“non hai aggiornato il registro”), si colpisce la persona (“sei sempre la stessa”).
  • Generalizzazione eccessiva: “è la terza volta” amplifica l’errore e crea percezione di incompetenza permanente.
  • Nessuna soluzione proposta: il messaggio non indica cosa fare per evitare che accada di nuovo.

Il risultato: demotivazione di Luciana, aumento del clima di paura nel team, nessun miglioramento reale del processo.

E se invece fosse andata così?

Il responsabile con tono calmo dice:
Luciana, vorrei riprendere un attimo la registrazione dei controlli qualità di stamattina. Ho visto che la partita è stata verificata correttamente, ma il sistema non è stato aggiornato. Questo crea problemi quando dobbiamo fare i controlli a campione più tardi nella giornata, perché rischiamo di perdere tempo a ricostruire i dati. Secondo te cos’è successo?”

Luciana spiega che la registrazione è rimasta indietro perché il software ha rallentato e lei ha dovuto passare subito alla linea successiva per rispettare i tempi.

Il responsabile allora continua:
Capisco. Ecco cosa faremo da oggi in poi: quando capita un rallentamento tecnico, segnala subito al capo turno così non ti carichi da sola della pressione. Intanto aggiorniamo insieme la procedura: inseriamo un promemoria fisso a fine partita, anche breve, così non ci scappa; ora riprovalo nei prossimi giorni e ci rivediamo venerdì per vedere come funziona

Luciana annuisce, si sente ascoltata e responsabilizzata. L’errore diventa occasione per migliorare il processo invece che generare imbarazzo.

Perché è una comunicazione correttiva efficace

·       In privato: la correzione avviene lontano dal resto del team → niente umiliazione.

·       Descrizione del comportamento, non della persona: “non è stato aggiornato il registro” invece di “sei sempre la stessa”.

·       Contestualizzazione dell’impatto: mostrare il perché è importante (blocchi nei controlli successivi).

·       Coinvolgimento nella soluzione: chiedere a Luciana cosa è successo e co-progettare un rimedio.

·       Follow-up chiaro: verificare a breve che la nuova procedura funzioni.

·       Esempio – Comunicazione correttiva gestita bene

TOMMASO

La responsabile nota le incongruenze nel report e decide di parlarne con Tommaso in uno spazio riservato. Con tono calmo dice:
Tommaso, ho notato che nel report mensile ci sono alcune discrepanze tra i dati di vendita e quelli amministrativi. Questo ha creato confusione durante la riunione con la direzione. Vorrei capire insieme a te come mai è successo e trovare insieme una soluzione efficace per prevenire tutto ciò.

Tommaso spiega che i numeri gli sono arrivati tardi e in formati diversi dai vari reparti, e che non ha gli strumenti per verificarli tutti in autonomia. La responsabile allora risponde:
Grazie per avermelo detto. In effetti il problema non è solo tuo, vedo che manca una procedura chiara per la raccolta dei dati. Facciamo così: domani facciamo un mini-incontro con i referenti di ogni reparto, così definiamo insieme uno schema unico di consegna e tu non sei lasciato solo con la responsabilità. Intanto, per il prossimo report, ci prendiamo un giorno in più per i controlli incrociati.

Tommaso esce dalla conversazione sollevato: non si sente accusato, ma parte di una soluzione condivisa. La responsabile ha trasformato un errore percepito individuale in un’occasione di miglioramento collettivo.

 

Lettore o lettrice: ti rivedi in Luciana o Tommaso? Oppure nei responsabili di reparto?

 

Creiamo insieme il tuo stile comunicativo interno?